Lettera di un tifoso che non capisce un cazzo di calcio ad Alessandro Del Piero.



Se dovessero chiedermi di nominare una persona che ha contribuito a plasmare la mia infanzia sei tu.
Che se le ragazzine iniziavano a farsi le foto con le labbra da papera (duck face) e ascoltare la pessima musica commerciale dell’epoca, io dopo i primi gol giocando in piazza con gli amici tiravo fuori la linguaccia e scuotevo la testa.
Non credo di esser mai riuscito ad essere come te, ma se fosse stato così facile tu non saresti stato colui che sei ora, e il mio discreto mancino è buono la metà del tuo.
E sei destrorso.

Che sei sempre stato legato alla tua squadra, mettendola sempre al primo posto, con il simbolo sul petto che contava molto più del nome o del numero sulla maglia.
Già, il numero, il numero dieci della storia italiana, con Baggio, che più ha rappresentato la classe, l’eleganza e soprattutto la gioia nel giocare a calcio.
Come hai sempre fatto d’altronde, quando eri sempre il più piccolo ma giocavi con i tuoi amichetti del quartiere. Proprio come me. Proprio come buona parte dei ragazzi della mia generazione.
Sono addirittura arrivato ad odiare il fatto di non riuscire ad essere come te. Ci ho provato con tutto me stesso da ragazzo, ma non ce l’ho fatta.
Ci son diversi tipi di giocatori che questa loro forma di superiorità palese, talvolta tendente all’onnipotenza, la utilizzano con superbia. Io, ancora oggi, quando vado a giocare a calcetto e faccio una bella partita, sento talvolta la necessità di volerlo urlare al mondo intero. Figurarsi gente del calibro di Ibrahimovic&co , come è normale che sia. Probabilmente farei lo stesso nei loro panni, quindi inutile fingersi ipocriti.
Tu no, tu te ne freghi. Non ti ho visto mai incazzato coi tuoi compagni perché sbagliavano un passaggio, piuttosto che in panchina con l’allenatore (e ce ne sarebbero state di occasioni, vero?) o in sala stampa per un intervista, piuttosto che in un qualunque video di Youtube di te in giro.
Come fai? Stai sulle tue e quando succede qualcosa hai come l’atteggiamento di chi volesse far apparire tutto come calmo, tranquillo, normale.
Due volte solo ti ho visto diverso.
18-02-2001, Bari.
Fine primo tempo di una partita che sembra destinata a finire sullo 0-0, con la Juventus che non riesce a incidere come al solito.
Alex fa riscaldamento. Magari il corpo si riscalda, ma dentro sembra freddo come il ghiaccio. Cinque giorni prima è venuto a mancare suo padre, Gino, classico lavoratore che ha passato la vita a farsi il mazzo per sperare di dare un futuro migliore ai suoi figli.
Ancellotti, che lecitamente aveva scelto di lasciarlo in panchina fino a quel momento, si rende conto che c’è bisogno di qualcuno che dia la scossa in più. Lo fa riscaldare più intensamente, sa che potrebbe aver bisogno di lui.
63° minuto, tocca a te.
Ti togli il giaccone ed entri senza lasciar trasparire emozioni.
Giochi bene, ma sei silenzioso. Non parli, non ti lamenti, sembri quasi uno che è li perché deve fare semplicemente il suo lavoro e deve svegliarsi il lunedì mattina alle 7. Però giochi bene, lo stesso.
Però sembra tu non ti diverta, comprensibile.
Nella testa però mi sorge un dubbio. Com’è possibile?
Se penso a qualcuno che si diverte giocando a calcio, nel 2018, nel 90% dei casi o penso a te o penso a Ronaldinho.
Allora sei anche tu umano, hai anche tu dei difetti.
Ti ho sempre visto come un semi-Dio, capace di cose che la maggior parte delle altre persone non arriva neanche a pensare lontanamente.
Senza difetti, impeccabile. Per la prima volta mi rendo conto che non è così.
Minuto 81.
Prendi palla sulla fascia, giù la testa e dritto a correre in direzione della porta. Poi inizi a danzare. Si, perché quelli più che semplici movimenti erano decisamente tendenti a un passo di danza. Doppio passo, finta di corpo e difensore al bar, pallone sul sinistro da posizione defilata, il portiere esce, tocco sotto, pallonetto che scavalca il portiere.
Poi l’urlo di gioia. Tutti gli juventini sono in festa, tutti i tuoi compagni gridano di gioia, persino Ancellotti si scompone. Sembra strano a dirlo, ma proprio quello che per tutta la partita non aveva emesso un fiato, emise l’urlo più forte di tutti. Scrollarsi di dosso tutta quella sofferenza e quel senso di vuoto che solo la morte di un padre può dare.
Il secondo momento in cui ti ho notato diverso è una notte che tutti gli Italiani bene o male ricordano o hanno visto negli anni a seguire.
4 Luglio del 2006, Westfalenstadion di Dortmund, semi-finale dei Mondiali di Germania 2006.
Una partita che l’Italia gioca dominando in terra tedesca, pur non riuscendo a concretizzare. Non bastano i tempi regolamentari per decretare un vincitore, quindi Marcello Lippi, all’epoca allenatore dell’Italia, ti fa entrare alla fine del primo tempo supplementare. Tutto sommato, l’ipotesi dei rigori è concreta, perciò puoi essere un’arma in più. Dopo il goal di Grosso al 119° minuto, in cui probabilmente l’Italia è stata in uno dei momenti più alti a livello calcistico degli ultimi 25 anni, tutta la Germania si lancia in attacco, sperando in 60 secondi di riuscire a impattarla magari lanciando il pallone in area e con le torri.
Fortunatamente noi in campo di torri difensive ne avevamo due abbastanza bravine chiamate Marco Materazzi (decisivo in finale) e Fabio Cannavaro (all’epoca capitano).
Di li in poi ricordo la telecronaca a memoria.
E cito: “Arriva il pallone, lo mette fuori Cannavaro, poi ancora insiste Podolski, Cannavaro, Cannavaro, via il contropiede per Totti, dentro il pallone per Gilardino.” Nel frattempo c’è un giocatore che appena Cannavaro ha spazzato il pallone, ha iniziato a correre per 70 metri come se fosse l’ultima corsa della sua vita. Quel giocatore sei tu, anche se hai il 7 sulla schiena e non il 10. “Gilardino la può tenere anche vicino alla bandierina, cerca l’uno contro uno, Gilardino, dentro Del Piero, Del Piero, gooooooooooal”. Il goal che chiude la partita e da in mano agli azzurri la qualificazione per la finale contro la Francia. Lui lì urla di nuovo, e corre verso la bandierina. La corsa più bella di sempre. Ma quello che gli interessa non è in campo, bensì in tribuna. Li doveva esserci seduta sua moglie, che però non c’è. Poi Alex guarda il maxi-schermo, e come tutti noi italiani collegati alla tv, vede sua moglie Sonia in lacrime.
Stavolta invece è uscito dai ranghi per gridare al mondo :“Io sono qui, sono Alessandro Del Piero, e tutti devono saperlo”.
E credo lo sappiano proprio tutti, Alex, quanto tu e il tuo modo di essere siate speciali, sia dentro che fuori dal campo.
Un giocatore che voleva apparire normale, solo in due occasioni ha detto a tutti (escludendo l’aspetto tecnico/tattico e le partite sul campo) urlando chi effettivamente fosse, e come dovesse essere considerato. Mai una parola fuori posto, assurdo.
Beh dai, io vado Alex, preparo le scarpe che stasera vado a giocare a calcetto. Sicuramente non farò i goal alla Del Piero, ma la felicità che mi porto dietro da quando ero piccolo di fare la linguaccia a ogni goal non potrà mai diminuire.
Ah, un ultima cosa, ho smesso presto di odiare il non poter essere come te. Mi sono reso conto che se ci fossi riuscito io, avrebbe potuto farlo chiunque altro nel mondo, e tu non saresti stato quello che invece hai sempre rappresentato per me.
Quindi grazie Alex, per quello che hai dato al calcio italiano e mondiale, e smettila di auto-considerarti come gli altri, che di Del Piero c’è n’è uno solo.
Purtroppo, direbbero molti.
Per fortuna, dico io.




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