Non ci sarà mai un "nuovo Ciccio Cozza"!

L’importanza delle bandiere sembra ormai passata di moda. In un mondo come quello sportivo, che tende ogni giorno di più ad essere centrato sull’ aspetto economico, stanno diminuendo sensibilmente alcuni valori che nel passato avevano una rilevanza molto più accentuata rispetto al giorno d’oggi.
Perché questo avviene? Perché è diminuito il senso di appartenenza? Il Dio denaro riesce sempre più frequentemente ad avere la meglio sul resto.
Chiunque ha un idolo da bambino. Se sei nato in Italia, dove lo sviluppo sportivo riguarda (a livello di impiantistica, di tifo, economico, etc.) principalmente il calcio, nella maggior parte dei casi il tuo idolo sarà un calciatore. Se sei nato verso la metà degli anni ’90 probabilmente ricorderai le discussioni infinite con gli amici sulle varie squadre e sui singoli giocatori: sui gol di Del Piero, sulle accelerazioni palla al piede di Kakà, sullo strapotere fisico di Adriano o sull’ estro di Totti. Tutti fenomeni, alcuni riusciti ad entrare nella leggenda, altri che invece non hanno espresso a pieno il loro potenziale.
Molti calciatori riescono ad entrare nei cuori dei tifosi, ma sono in pochi quelli che riescono a restarci per sempre. 
Uno di questi è Francesco Ciccio Cozza.
Il centrocampista nativo di Cariati (CS) fin da piccolo pratica con passione il tennis e il calcio, scegliendo di proseguire (fortunatamente diremmo oggi) la seconda opzione. Entra a far parte del mondo amaranto all’età di 12 anni nel settore giovanile, per poi fare tutta la trafila delle giovanili sino al 1992, quando viene venduto alla Milano rossonera. Ha l’opportunità di conoscere tanti campioni in quel Milan storico che detiene tutt’ora il record, da Maldini a Van Basten, da Gullit a Baresi, per continuare con Albertini, Rijkaard ed altri. Non troverà, per via della folta rosa e della poca fiducia riposta da Capello in lui, molto spazio in rosa, iniziando cosi una serie di prestiti in giro per l’Italia, fra Reggiana, Vicenza, Lucchese e Cagliari. Successivamente viene venduto al Lecce, dove rimane due stagioni.
Ma si sa:
«certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano»


«Io ed il presidente ci eravamo ripromessi che prima o poi sarei tornato e avrei provato a portare la Reggina in Serie A» dirà successivamente in un intervista lo stesso Cozza.
L’ambientazione è Reggio Calabria: una terra dove la popolazione, nonostante problematiche varie, ha vissuto un decennio magico tra la fine degli anni novanta e la prima decade del 2000. La data sul calendario da cerchiare in rosso è quella del 13 Giugno 1999, quando la Reggina conquista la prima storica promozione in Serie A vincendo 2-1 al Delle Alpi di Torino proprio contro i granata già promossi nella massima categoria e con oltre 60.000 tifosi presenti. Poteva mancare la firma del capitano? Assolutamente no, perché come tutti i tifosi amaranto ricordano, quando il gioco si fa duro Cozza ci mette la faccia, oltre che il cuore e le gambe.
Proprio al Delle Alpi è la prima storica partita in Serie A della Reggina contro la Juventus che finisce 1-1. In quella rosa si possono ritrovare giocatori come Pirlo e Baronio, tanto per citarne due; a fine stagione la squadra amaranto riesce a salvarsi con una giornata di anticipo.


La stagione successiva è fatta di prestazioni altalenanti da parte dell’organico di Mister Colomba, partendo dalla vittoria in rimonta per 2-1 contro l’Inter alla prima giornata di campionato, e inanellando successivamente una serie negativa di otto sconfitte consecutive; a fine stagione sarà 13° posto, a pari merito con Lecce e Verona. Lo spareggio play-out è contro il Verona, che vince 1-0 in casa e perde 2-1 al Granillo di Reggio Calabria. Per via del gol segnato in trasferta sono i veneti a guadagnarsi la permanenza nella massima categoria.
Chicca per i più appassionati: in quella stagione, il 1° Aprile (Pesce d’aprile?) il portiere Massimo Taibi segnò un gol di testa a qualche minuto dalla fine contro l’Udinese; ancora oggi, all’ interno dello stadio è presente una statua eretta per celebrare l’avvenimento; Si tratta del penultimo gol segnato nel campionato di Serie A da un portiere (l’ultimo? Brignoli in Benevento-Milan, 2-2).

Sai, Ciccio, scrivendo questo pezzo mi sono reso conto del fatto che…ti voglio bene. E come me anche molti altri reggini, che hanno ancora negli occhi il gol in pallonetto all’Olimpico di Roma, le punizioni magistrali, il gol nello spareggio di Bergamo, tutte le volte che sei riuscito a far vincere il derby dello stretto alla TUA squadra contro gli "acerrimi nemici" messinesi. In campo nessuno ha mai avuto il minimo dubbio su chi fosse il leader di quella squadra ma fuori? Non molti sanno che tra gli ultras amaranto c’era una signora abbastanza anziana, chiamata da tutti "Nonna Maria",  che ha deciso di fare della Reggina la sua passione di vita: vederla ogni domenica in curva a urlare, incitare e sostenere la squadra. A 90 anni. OGNI DOMENICA. Perché come diceva lei, «A Reggina è comu a famigghia!» («la reggina è come una famiglia»); ed è proprio vero, nel bene e nel male. Quando nonna Maria se n’è andata (nel 2013, ndr.) , all’età di 94 anni, l’ex 10 calabrese  ha telefonato privatamente ad Alfredo Auspici (giornalista reggino impegnato nel ramo sportivo e storico tifoso) impegnandosi personalmente a donare la lapide in memoria della storica tifosa amaranto, e chiedendo di non divulgare quest’intenzione (che poi è ugualmente venuta a galla): "A Nonna Maria ci penso io" sarebbero state le parole usate.


Hai aperto una Scuola Calcio a Reggio Calabria, magari con la speranza di far crescere nell’ambiente sportivo tanti giovani e perché no, magari anche quella di poter un giorno far uscire da li il Nuovo Ciccio Cozza. Ma non ci sarà mai un altro Ciccio Cozza!

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