Wunder Dirk Nowitzki, il gigante che ha cambiato la pallacanestro






Würzburg, Germania, 19 giugno 1978.
L’inizio di questa storia.
Bugia. La storia ha inizio ben prima, diciamo il 9 dicembre 1945 a Bad Nauheim.
Quel giorno viene al mondo Holger Geschwindner, uno che come atleta ha avuto una mediocre carriera vincendo 4 campionati tedeschi e 2 coppe di Germania.

Ci sono stati 3 momenti fondamentali nella vita di Dirk, e Holger c’è sempre stato.
Ma torniamo a noi, non è ancora il momento di parlare di lui.

La famiglia Nowitzki è storicamente legata al mondo dello sport: la signora Helen, giocava a pallacanestro e disputò anche qualche partita con la nazionale tedesca, mentre il signor Joerg, si dedicava alla pallamano. Il “piccolo” Dirk Werner Nowitzki come molti ragazzini europei si innamorò durante il periodo dell’adolescenza del calcio, uno fra i suoi sport preferiti ancora oggi, ma si cimentò anche nella pallamano, volendo seguire le orme del padre e nel tennis, non trovando nella racchetta abbastanza soddisfazione.
Dico “piccolo” perchè all'eta' di 17 anni il suo fisico era di 2.01 cm.

Giornata qualunque, colazione.

Dirk: “Buongiorno mamma”

Helen: “Buongiorno Dirk, li ci sono i tuoi cereali”

D: “Grazie… Senti, l’altro giorno ho visto dei ragazzi al parco vicino casa che giocavano a basket…”

Helen intuì dove voleva arrivare il ragazzo.

H: “Beh, e quindi?”

D: “Voglio provarci anche io! In fondo ho già provato con la pallamano come papà, perché non provare anche la pallacanestro?”

H: “Oh, e va bene! Ora sbrigati a mangiare quei cereali che tra poco hai scuola”

Provò ad iscriversi nella squadra giovanile della sua città, il S.Oliver Würzburg, per capire come funzionava il gioco.
La prima squadra giocava all’epoca in Serie B tedesca.
In Germania, prima delle partite di categoria, venivano giocate quelle delle giovanili della squadra di casa.
E’ qui che entra in gioco Holger, primo momento fondamentale.

All’ epoca Dirk era diciassettenne, e mentre stava giocando una partita di quelle sopracitate, venne notato proprio da Holger che all’ epoca era un 50enne che si limitava a seguire lo sport da ex atleta.

Holger: “Affidatelo a me, e farò di lui un campione come mai se ne sono visti prima in tutta la Germania, forse perfino in tutto il mondo.”

Helen: “Perché dovrei affidare mio figlio alle mani di uno sconosciuto?”

Dirk: “E’ quello che voglio, mamma”

Holger: “Ha tutte le doti per conquistare il mondo, è alto ma ha dinamismo, è ordinato ma capace di velocizzare il gioco, ha testa sulle spalle e questo sicuramente perché ha una buona famiglia che l’ha educato”

Helen: “Oh, inutile che mi lusinghi, tanto non ho comunque alternative, dato che quel ragazzino  quando vuole una cosa va e se la prende.”

Già, quel ragazzino, quando vuole una cosa va e se la prende, non dimenticatelo.




Il ragionamento del dottor Gescwindner è piuttosto semplice: Dirk ha doti atletiche pazzesche, ma in un mondo come quello NBA patirebbe tantissimo la fisicità e la stazza di giocatori grossi anche più di lui, quindi deve trovare un modo per ovviare al problema e risultare immarcabile. Per questo le loro sedute in palestra, fin da subito, si concentrano oltre che su aspetti generali, particolarmente su uno specifico aspetto del gioco: la ricerca del tiro perfetto.
Come può essere un tiro efficace in qualunque situazione, contro qualsiasi avversario?
A differenza di qualsiasi altro giocatore della sua stazza, Dirk predilige giocare lontano dal canestro, laddove qualsiasi altro “lungo” (centro o ala grande) si trova spaesato. Grazie al suo tiro perfetto e alla sua altezza, che gli permette di rilasciare la palla molto in alto e di avere un notevole vantaggio rispetto all’avversario, il gigante tedesco diviene un giocatore capace di spostare gli equilibri di una partita.

Arriva il giorno del draft.

24 Giugno 1998, Vancouver.

Un giovane Dirk viene scelto alla numero 9 da Milwaukee ma viene ceduto subito a Dallas, unica franchigia per cui abbia mai giocato.
Con lui scelti anche un certo Vince Carter alla 5 (che qualche anno dopo sfiderà le leggi della fisica a suon di schiacciate),Jason “White Chocolate” Williams alla 7(così chiamato per il suo gioco spettacolare, che era tipico dei “chocolate”, ovvero i giocatori di colore), Paul “The Truth” Pierce (che diventerà leggenda nei Boston Celtics), alla 11 e lo sloveno Radoslav Nesterovič, che i più grandi e appassionati ricorderanno nelle stagioni dal ’97 al ’99 con la maglia della Virtus Kinder Bologna (squadra da cui fu draftato) alla 17.

Ma partiamo dall’inizio.

Nowitzki vuole la maglia con il numero 14, perché quel numero è lo stesso che aveva indossato “Sir” Charles Barkley nelle Olimpiadi di Barcellona '92, dove Barkley portava quel numero con il Dream Team. Ma a Dallas il 14 è già assegnato al compagno Robert Pack, quindi Dirk sceglie di invertire le cifre e prendere il 41, che lo accompagnerà per il resto della sua carriera.

Nel corso degli anni si è preso la lega, partendo dal basso e salendo ogni giorno di più verso la cima. Ci è arrivato Dirk, all’apice.
Che ci sarebbe arrivato diventò più che un pensiero nel 2015, quando trascinò la sua Germania in finale (pur perdendo e conquistando così l’argento) all’ Europeo, risultando con 26.1 punti di media, il miglior marcatore della competizione.

Nei play-off della stagione ‘05/’06 è riuscito da vero leader, ma certamente con l'aiuto dei compagni, ad arrivare alle finali NBA, perdendo 4-2 contro i Miami Heat di coach Pat Riley e dei vari Williams, Payton, Wade e O’Neal. L’anno successivo diventa il primo europeo oltre che il primo non nordamericano (se si considera che il nigeriano Olajuwon fu naturalizzato dagli USA e l’unico giocatore non statunitense a vincerlo fino ad allora era stato Steve Nash, canadese, nelle 2 stagioni precedenti a Dirk) nella storia della NBA a ricevere il premio di MVP, dopo aver ottenuto il miglior record di squadra ad ovest. 
Nonostante ciò i suoi Mavericks vengono eliminati al primo turno dei playoff dalla sorpresa Golden State Warriors, in uno dei rarissimi casi in cui la testa di serie numero 8 ha eliminato quella numero 1.
Due brutte batoste per il ragazzone di Würzburg, perché si sa che questa lega non sempre regala seconde opportunità.
Lui però non ci sta, questa volta decide che se non sarà l’opportunità ad andare da lui, allora sarà lui a prendersela.
Già, quel ragazzino (ormai ragazzone), quando vuole una cosa va e se la prende, ricordate?
Ma non è ancora il momento, la squadra non è pronta, e lui continua a lavorare in silenzio. Giorno dopo giorno. Centimetro dopo centimetro. Sempre li, chiuso in palestra col vecchio Holger che lo guida nei movimenti.


Giunge l’ora.

Il 12 giugno del 2011 vince il campionato NBA, battendo per 4 a 2 i Miami Heat di LeBron James e Dwyane Wade e laureandosi MVP delle Finals, in una serie che lo ha visto incontrare varie difficoltà come un infortunio al tendine della mano sinistra in gara 1 ed un'influenza con febbre a 38.5 in gara 4. 
Secondo momento fondamentale, stoico. E Holger è sempre li a guardarlo dalla panchina e a sostenerlo.

Passano gli anni, la carriera di Nowitzki scorre a suon di ventelli e arriva il terzo ed ultimo momento fondamentale nella vita di quel ragazzino tedesco.

7 marzo 2017, Dallas.

Tutti sanno che non è un giorno qualunque, che potrebbe succedere.
Avversari di turno i Los Angeles Lakers, partita in cui nessuno avrebbe guardato il risultato finale.
Perché? La risposta è nel secondo quarto.
Devin Harris porta palla e supera la metà campo, Nowitzki fa un cenno a Nerlens Noel e a Dorian Finney-Smith, che vanno nell’altra parte del campo. Vuole l’isolamento,chiede palla, la riceve e prova a giocarsi l’uno contro uno con Larry Nance Jr, 2.06 per 105 kili, non proprio una situazione di vantaggio fisico. Neanche un palleggio, neanche una esitazione, con un equilibrio che definire precario è un parolone, ma ci ha abituati così.
Rilascio, arcobaleno che sa di storia e ciuff, canestro.
Sarebbe un canestro qualunque, ne ha fatti a migliaia così. Questo però è un po’ diverso.
Diventa così il sesto giocatore nella storia della Lega a raggiungere i 30.000 punti. 

Ma non è questo il terzo momento.

Un palazzetto in festa, una città in festa, ogni appassionato di pallacanestro d’oltre oceano in festa.
Ha ricevuto migliaia di attestati di stima, di fiducia, complimenti e tanto altro a seguito di quel canestro e dei 30.000 punti realizzati. Dai compagni nel timeout subito seguente al canestro alla standing ovation dei tifosi.

Eppure il gesto più bello di tutti si vede qualche secondo dopo, quando sul maxischermo del palazzetto, si vede il volto di un signore in lacrime.


Terzo momento.



E’ proprio Holger, che piange di gioia come se questo record appartenesse a lui, e mi piace pensare che sia così. Perchè in fondo, senza Holger, non avremmo avuto questo Nowitzki da poter guardare.

Giocatore con più presenze nella storia dei Dallas Mavericks, con 1.471 partite giocate e 31.187 punti segnati. Un altro anno di contratto (probabilmente l'ultimo) sempre in maglia Dallas, per deliziarci ancora un po con quei movimenti.

40 anni oggi, per tutto ciò che hai dato alla pallacanestro, danke Dirk.



Commenti