Questo non è quello che serve al calcio.
Questo non è quello che serve allo sport.
Il fatto che la politica debba influenzare le prestazioni
sportive è veramente da brividi.
Pensare che degli atleti siano costretti a dover tornare in
patria per svolgere 2 anni di leva militare è al giorno d’oggi realta.
Stiamo parlando di Son Heung-Min, numero 7 e capitano della
nazionale di calcio della Corea del Sud. Dal risultato della Nazionale
sudcoreana dipenderà infatti direttamente il futuro del centrocampista del
Tottenham: se gli asiatici dovessero andare fuori ai gironi, Son perderà lo
sconto sulla leva militare obbligatoria perché verrebbero a decadere i meriti
sportivi che fino a questo momento gli hanno permesso di rimandarla. E per andare avanti, devono battere la Germania (oggi 27/06) campione in carica e sperare in una vittoria del Messico sulla Svezia.
In caso di mancata qualificazione, sarebbe a rischio anche
la carriera del 26enne sudcoreano, pagato 25 milioni di euro dal Tottenham
nel 2015 per portare in Inghilterra il fantasista che all’epoca militava tra le
fila del Bayer Leverkusen.
A fine partita Corea del Sud - Messico, Son non ce l'ha fatta ed è scoppiato in lacrime.
Il giocatore potrebbe dover far rientro a Seul per
rispettare i 21 mesi di servizio militare obbligatorio per chi ha meno di 28
anni, unendosi alla squadra dell’esercito, lo Sangjue Sangmu.
E così Son passerebbe dai 360mila euro guadagnati ogni mese
al Tottenham ai 100 euro che vanno ai
giocatori che compongono la squadra delle
forze armate.
Ma non è questo il punto.
Spieghiamo un po’ come stanno i fatti.
Nella storia, molte volte la politica ha intaccato l’ambito
del calcio.
Breve esempio.
22 giugno 1974, Gelsenkirken, Germania.
Si sta giocando un match dei gironi del Mondiale di calcio,
Brasile-Zaire: i verdeoro sono in vantaggio col risultato di 3-0 e siamo a una decina di minuti dalla fine.
Rivelino, uno dei talenti della nazionale sudamericana, poggia il pallone per
terra, per battere una punizione dal limite dell’area.
Dalla barriera, ancora prima che il direttore di gara possa
dare il via alla battuta, esce Mwepu, terzino dello Zaire, che scaglia il
pallone lontanissimo, quasi a sfiorare la testa di Rivelino.
Ovviamente il calcio piazzato è da ripetere, ma un silenzio
misto ad incredulità e stupore pervade l’atmosfera dello stadio. “Ma questi
africani le conoscono le regole?” avranno pensato tutti gli spettatori.
Alt, pausa, torneremo su questo episodio.
Nel 1960 il Congo è governato da Patrice Lumumba, leader
della lotta indipendentista congolese.
Di lì a poco, però, Lumumba viene assassinato, e prende il
potere il capo maggiore dell’esercito Joseph-Desirè Mobutu.
I congolesi ancora non lo sapevano, ma il colpo di Stato di
Mobutu segnava l’inizio di una dittatura trentennale, fra le più dure della
storia dell’Africa. Nel 1971 l’all’epoca (e anche attualmente) Congo viene
rinominato Zaire per ordine del suo dittatore, e il vestiario occidentale viene
proibito.
Le dittature hanno spesso usato il calcio come veicolo di
propaganda, e quella di Mobutu non fa eccezione: come se stesse giocando a Football
Manager, risolleva di tasca sua i cartellini dei giocatori e rinforza le
squadre e le strutture congolesi, riuscendo a vincere più volte la Coppa dei
Campioni africana; grazie agli incentivi economici, lo Zaire diventa una buona
squadra e riesce a qualificarsi per l’unico posto disponibile per l’Africa ai
Mondiali di Germania del 1974.
In Germania la squadra congolese, allenata dallo slavo
Vidinic, si dimostra inadeguata agli standard del mondiale: perde la prima
partita 2 a 0 contro la Scozia, e la seconda con un sonoro 9 a 0 contro la
Jugoslavia.
Per Mobutu l’onta è irreparabile: manda un jet privato con i
suoi uomini fino in Germania, nel ritiro dello Zaire, per parlare con i
giocatori. Più che parlare, diciamo che fece trovare loro delle bare di legno
in albergo, ma ci arriveremo.
La terza e ultima partita del girone è ancora più difficile
delle prime tre: lo Zaire affronta il Brasile dei fuoriclasse.
Giungiamo quindi a quel calcio di punizione calciato da
Mwepu.
Qualche giorno dopo si saprà la tragica verità: gli uomini
di Mobutu avevano minacciato di uccidere i giocatori e tutte le loro famiglie
nel caso il Brasile avesse segnato più di tre gol.
In quel calcio dato al pallone c’è lo sguardo della sua
famiglia.
C’è tutta la vita che gli scorre davanti, con la paura che
ciò che fino a poco prima lo rendeva felice avrebbe potuto porre fine alla vita
di decine di persone.
E allora via, il più forte possibile, con la speranza che quel pallone potesse percorrere i kilometri prima di fermarsi.
Fortunatamente la partita terminò 3-0, e fù proprio lo
stesso terzino a raccontare la vicenda nel 2002.
Piccola chicca per gli appassionati: Mobutu, per cancellare
l’onta, qualche mese dopo (30 Ottobre) decise di organizzare uno dei più grandi
eventi sportivi del ‘900 e dello sport: “The Rumble in The Jungle”, il
leggendario match di pugilato tra Muhammad Alì e George Foreman, in quella che
rimane uno dei più bei match di sempre nella storia del pugilato. Ma, come
direbbe un mio vecchio amico, questa è un’altra storia.
In questa di storia, quel che ci rimane è il viso
terrorizzato di Mwepu, simbolo di una delle dittature più violente del ‘900.
Ma torniamo a un periodo più recente, nuovo millennio.
Ci spostiamo in Asia.
La cancellazione del servizio militare per il raggiungimento
di importanti risultati sportivi è consuetudine in Sud Corea. In passato è
già successo, in occasione del Mondiale 2002 giocato in casa, quando i
sudcoreani arrivarono quarti eliminando anche l’Italia (ancora ricordiamo).
Agli atleti di quella spedizione fu concessa l’esenzione dalla leva
obbligatoria, così come successo appena quattro anni fa quando la Corea del Sud
ha vinto i Giochi Asiatici.
E torniamo alla storia principale, quella del ragazzo di Chuncheon.
In caso di eliminazione dal Mondiale, Son avrebbe altre due
occasioni per dimostrare di nuovo i suoi meriti sportivi: ad agosto sono in
programma i Giochi asiatici in Indonesia, mentre a gennaio si svolgerà la Coppa
d’Asia. Molto dipenderà anche dal Tottenham, che dovrebbe lasciare andare il
suo giocatore in Nazionale a stagione in corso.
Questo cosa significa? Significa molte cose. In primis,
sarebbe un disagio per la squadra, in quanto dovrebbe privarsi di un giocatore
cardine in un momento fondamentale della stagione. Inoltre, rovinerebbe la
carriera di un giocatore, ed il sogno di continuare a giocare ad alti livelli.
Poi si, vogliamo essere materialisti e pensare anche al fattore economico, ma è
bello pensare in fondo che ancora qualcuno, al giorno d’oggi, dietro a quel
pallone corra per divertirsi, non per i soldi.
E adesso, per favore, basta tentare di violare ogni qual
forma di libertà da parte di atleti che versano sudore per onorare al meglio la
divisa della propria nazionale.
Questo non è quello che serve al calcio.
Questo non è quello che serve allo sport.
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